Jenny Narcisi, nata il 4 settembre del 1988 a Cosenza, è un’atleta nazionale di ciclismo paralimpico, nata con una deformità e delle limitazioni motorie all’arto inferiore sinistro e una macrosomia allo stesso arto, una patologia che evidenzia una differenza di volume tra gli arti inferiori. Ad oggi convive con questa patologia e una paralisi dei muscoli anteriori della stessa gamba.
Dalle prime cure al Bambin Gesù di Roma alla scoperta, a 14 anni del ciclismo, c’è un percorso lungo, impegnativo, doloroso. “Ho pianto, mi sono rifiutata, ho odiato la vita, mi sono fermata” racconta, lei che da bambina viveva ogni luogo sociale con tormento, a iniziare dalla scuola, dove abbassava lo sguardo di fronte ai chiacchiericci dei suoi compagni, incuriositi di fronte a una gamba così diversa, lei che al mare nascondeva i piedi sotto la sabbia, lei che si vergognava e cercava in ogni occasione di nascondere quel piede, di nascondere se stessa. Dopo il trascorso clinico all’ospedale di Roma, a 2 anni Jenny veniva presa in cura presso l’ospedale Rizzoli di Bologna, da quel momento fino ai 18 anni. Ne seguirono visite ortopediche di monitoraggio della sua condizione con cadenza anche semestrale, uso di tutori ortopedici e scarpe su misura, fisioterapia. Insieme a tutto questo arrivava anche la sua prima attività sportiva, questa avrebbe preceduto il momento del passaggio alla chirurgia: il nuoto. Furono 3 anni di attività ricchi di esperienze, la conoscenza ulteriore del suo corpo, delle sue capacità e dei suoi limiti, il confronto con le capacità fisiche degli altri bambini e la sua ennesima arresa: a Jenny non era bastato tuffarsi ogni volta per prima in acqua, nascondere il suo piede anche mettendogli un bagnoschiuma davanti durante il riscaldamento fuori dall’acqua, nè impegnarsi di più con la battuta di gambe per fare quelle vasche con gli stessi tempi degli altri, l’avevano “scoperta” anche lì e lei si sentiva come se avesse perso. Finiva così il suo primo approccio con le attività sportive.
“A 14 anni lo sport mi ha cercata, la bicicletta mi ha cercata e ho iniziato a riflettere. Montavo su quella sella per riabilitazione e tornavo carica di una energia vitale che non sapevo spiegarmi, mi smuoveva l’animo, quella sensazione sconosciuta alla ragione e che portava con sé aria di cambiamento. La stessa sensazione che anni dopo avrei rivissuto in altre occasioni e d’istinto avrei seguito, contro tutto e contro tutti. Imparavo ad amarmi, a vivermi, iniziavo a difendere con tutta me stessa quella gamba per la quale fino a poco tempo prima speravo a ogni risveglio di vederla uguale all’altra, quasi come una magia. Non capivo il perché di certe cose ma iniziavo a seguire quasi d’istinto tutto ciò che nel tempo mi si presentava, compresa la scelta di lasciare casa a 19 anni e tentare una vita da ragazza indipendente”. Si è affidata alla vita e le cose sono accadute: iniziava la sua lunga corsa. “Ho lottato, ho studiato, ho capito: ho intrapreso un viaggio che non ha un punto d’approdo ma si vivifica costantemente di nuove esperienze”. Da Ragioneria nella nativa Calabria è passata alla facoltà di Scienze Motorie all’Università di Perugia dove si è laureata alla triennale di Scienze motorie e poi alla specialistica in “Attività motorie preventive e adattate” con una tesi ‘a misura’ di patologia e di se stessa, il tutto divisa tra lo studio e i lavori part-time per mantenersi. E’ rimasta poi in Umbria, a Corciano, dove attualmente lavora in un negozio di tecnologia, un lavoro non in linea con i suoi studi ma che le permette di arrivare a fine mese e allo stesso tempo di allenarsi. Questo perché, a 25 anni, terminati gli studi: “sentivo dentro che ancora c’era qualcosa da fare, prima di passare dalla parte dell’istruttrice o della preparatrice atletica, sentivo che dovevo tornare sulla bicicletta a qualsiasi costo e fare qualcosa, quasi per ringraziarla di quanto mi aveva dato, quel qualcosa lo avrei scoperto tre anni dopo, quando attaccavo un dorsale, in Svizzera, su una maglia con la scritta ITALIA, in sella alla mia bicicletta”. Era luglio del 2015, quando un mese dopo le due medaglie in coppa del mondo a Maniago, dove aveva corso con la sua maglia amatoriale, otteneva la sua prima convocazione in nazionale: era il ritiro pre-mondiale di due settimane a Rovere, il raduno della nazionale di Alex Zanardi e Vittorio Podestà, della Francesca Porcellato, di atleti plurimedagliati nella storia di questo sport, di cui l’Italia è al primo posto nella classifica tra le migliori Nazionali al mondo. Uno dei sogni di Jenny si stava facendo realtà! Arriva il mese di agosto e il team si presenta in Svizzera per i mondiali di ciclismo paralimpico: è la sua prima gara in maglia azzurra, Jenny giunge terza nella gara in linea e porta la nostra bandiera sul podio.
I sogni non finiscono qui, lei procede in questo percorso caparbiamente, lavora e si allena con impegno, sacrificio, rinunce e arrivano altri traguardi: giunge seconda in coppa del mondo in Belgio nel 2016, ottiene la qualificazione alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro 2016, parte oltreoceano e fa la sua prima Olimpiade, giunge sesta nella gara a cronometro. L’anno dopo conquista altre due medaglie in due coppe del mondo, in Olanda e in Italia, sono i due bronzi della gara in linea. Ma non finisce qui, è lo stesso anno, il 2017 che le regala il secondo gradino ai mondiali in Sudafrica, dietro all’America e davanti all’Australia. E’ il 3 settembre, il giorno prima del suo compleanno.
Siamo nel 2018, come ogni ogni atleta la sua ambizione è quella di continuare ad esprimere il proprio meglio anche quest’anno. “Un anno importante” dice, ” abbiamo il mondiale in Italia”. Certo, perché il suo terzo mondiale si terrà a Maniago a inizio agosto, una terra a cui lei è tanto legata, la stessa che nel 2015 l’aveva lanciata in nazionale.