C’era una volta un aquilotto di nome Jacky, dalle piume candide e di indole curiosa.
Era nato in un nido alto tra rocce di montagna, insieme ad altri due fratellini. Mamma Aquila li aveva nutriti e curati tutti con amore e una volta cresciuti, li aveva incoraggiati ad uscire fuori dal nido. Se i suoi fratellini avevano scavalcato il bordo del nido senza troppi problemi e avevano già cominciato ad avventurarsi intorno, per Jacky fu un po’ più difficile: era nato, infatti, con una zampetta diversa dall’altra che gli rendeva problematico muoversi, spostarsi, raggiungere un bel posto o giocare coi suoi fratellini a rincorrersi. La mamma lo aveva aiutato a spingersi fuori, spesso lo accompagnava col suo becco fin dove gli altri erano riusciti ad arrivare con le loro zampe. Ma nel momento in cui la nidiata fu pronta a spiccare il volo, Jacky fu costretto a vedere i suoi fratelli alzarsi in aria dopo la rincorsa mentre lui rimase fermo, a terra, perché quella rincorsa veloce proprio non gli riusciva. Si sentiva in difetto e inferiore rispetto agli altri e quando il loro sguardo colmo di pena si posava su di lui, ne soffriva molto. Desiderava ardentemente essere come gli altri, capace di raggiungere i suoi fratelli e le altre aquile lassù, tra le nuvole e volare insieme a loro, ma il suo destino sembrava segnato.
Un giorno mentre se ne stava a beccare del cibo sopra un sasso, sentì alcuni aquilotti radunati a bordo di un piccolo stagno che, mentre si abbeveravano, parlavano di una gara:
“Ti sei iscritto alla gara di volo?”, chiese uno
“Ancora no, ma parteciperò sicuramente”, rispose l’altro
“Quale gara?”, domandò un altro aquilotto ancora
“Come quale gara? La Gara a ostacoli tra le Nuvole! È famosissima! Solo i più abili aquilotti possono partecipare, occorre essere svelti, leggeri e aerodinamici, ma soprattutto devi passare molto velocemente tra una nuvola e un’altra, senza toccarle nemmeno con una piuma”, precisò il primo aquilotto.
“Wow! Voglio provarci!”, “Anche io!”, “Io pure!”, affermarono eccitati tutti.
Jacky si fece subito triste: era scontato che lui non avrebbe mai potuto partecipare e per l’ennesima volta, sarebbe stato in disparte, da solo, a guardare gli altri divertirsi, volare, stare insieme. Un aquilotto del gruppo, prima di alzarsi in volo, lo notò: “Ehi Jacky, tu ci farai da arbitro a terra, va bene?” e grosse risate da parte di tutti prima di andarsene via lontani.
“Non te la prendere, tesoro”, si avvicinò mamma Aquila, “ti porterò a beccare more, sarà più divertente che…”
“…che volare? No, mamma, non credo proprio che lo sia. Perciò io volerò!”
“Jacky, certo che volerai, ma non in quella gara, è molto impegnativa e…”
“Io volerò in quella gara, mamma. E vada come vada”.
Per la prima volta, Jacky sentiva un fuoco dentro che non sapeva ben definire, ma quel fuoco che gli bruciava in petto lo spinse ad alzarsi prestissimo tutte le mattine e ad allenare le sue zampette per potenziare la sua rincorsa, ad alzarsi di notte per provare il miglior assetto aerodinamico del suo corpo e a capire in che modo sfruttare al meglio la sua zampina malridotta. Non voleva che altri sapessero della sua preparazione quotidiana: “Ahahaha, ma dove pensi di andare in questo modo?!”, avrebbero sicuramente commentato gli altri uccelli se l’avessero visto allenarsi.
Durante le prime prove, quella zampetta creava non pochi problemi: rallentava la salita e rendeva poco agevole la discesa. Per non parlare del salto delle nuvole: ogni volta che doveva tempestivamente richiamarla a sé per non toccarle, la zampa ci metteva tanto, troppo tempo e finiva sempre con lo sfiorare quella morbida spuma d’aria. All’ennesima rovinosa caduta a terra, Jacky si fermò al suolo: “Non ce la farò…”, ma prima di aggiungere “mai” sentì di nuovo quel fuoco salirgli in petto. Si rialzò e cominciò di nuovo ad allenarsi, senza più tentennare.
Fino a quando arrivò finalmente il giorno della gara.
“Tutti i partecipanti si posizionino sulla riga di partenza, attenzione! Tutti i partecipanti sulla riga di partenza!”
Quando Jacky si allineò insieme agli altri partecipanti, i commenti del pubblico non mancarono: “Torna a casa”, “Ritirati”, “Non farlo”, “Prenderai un’altra delusione!”. Il piccolo aquilotto non si deconcentrò: aspettò il via e….via! Cominciò la rincorsa proprio come l’aveva provata in tutto quel tempo, si alzò in volo e una, due, tre nuvole superate! “Ecco la prima curva del cielo, ora inizio a tirare su la zampetta per il prossimo ostacolo”, diceva tra sé e, via, ancora, ostacolo superato! Dieci metri ancora, cinque, due…fine, traguardo!
Jacky aveva tagliato il traguardo! La zampetta era dolorante per lo sforzo, il piccolo aveva un gran fiatone, ma ce l’aveva fatta. Il pubblico era indeciso se applaudire il vincitore della gara o lui, che nonostante non fosse arrivato prima di tutti, la sua gara l’aveva vinta.
Mamma Aquila era commossa: “Jacky, sei stato bravissimo!”.
Jacky sorrise e guardò la sua zampetta ancora dolorante per lo sforzo appena fatto. La accarezzò e le disse “grazie!”. In quel momento capì cosa fosse quel fuoco che sentiva nel petto: la voglia di non arrendersi, di non credere a chi diceva che non avrebbe mai volato alto.
Jacky e la sua zampetta avevano fatto amicizia e così erano riusciti a volare insieme. E da allora continuano a volare in mezzo alle altre aquile e uccelli, liberi nel cielo.
Se alzi gli occhi al cielo, lo puoi vedere anche tu mentre sorvola i tetti delle case, su, nel cielo blu!
Jacky è in ognuno di noi, è quella voce del cuore che ci spinge verso scelte di coraggio, quelle che ci permettono di accettare la realtà anche quando non ci piace. Lo stesso coraggio che spinge la nostra forza di volontà quando talvolta, da sola, non riesce a spiccare il volo.
Racconto tratto da un tema libero di Jenny Narcisi alle Scuole Elementari